È proprio questo sì il dilemma che attanaglia la nostra generazione: diffondere la propria immagine senza
alcuna riservatezza o nasconderla? È la società in cui viviamo che ha generato, sempre più, la necessità,
soprattutto in chi ricopre una posizione di potere, del farsi conoscere, del costruire una propria immagine
da divulgare al mondo. Oggi del proprio volto molti ne hanno fatto un mestiere,quello dell’influencer per
esempio, mostra come mettere a nudo la propria vita privata può essere d’ispirazione per quella fetta,
spesso giovanissima, di pubblico sul quale si esercita una non poca influenza . Gli stessi,attraverso i loro
comportamenti, finiscono per avere molte più responsabilità di quelle che ci si può immaginare. In realtà
tutti gli esseri umani vivono da sempre un’evidente contraddizione rispetto a ciò che vogliono che tutti
sappiano di sé stessi e ciò che preferiscono resti segreto. Sicuramente la tecnologia e, in particolare, i social
hanno contribuito sempre di più alla diffusione di notizie personali nel pubblico e,il più delle volte,risulta
molto difficile tornare indietro. Basta un semplice click ormai ed in qualsiasi momento, da qualsiasi parte
del mondo possiamo generare un gossip globale su un’unica persona. Come le due facce di una stessa
moneta l’informazione può diffondere conoscenza e al tempo stesso caos. Mi spiego, possiamo apprendere
notizie con più tempestività, ma al contempo tante sono le voci ed è più difficile discernere quelle che
dicano il vero da quelle che lo celano. Ciò rende sempre più esposti a fake news i protagonisti di questo
fiume in piena di divulgazione mediatica che sono costretti, quasi sempre, a proteggersi. Molte infatti sono
le vittime di body shaming, di calunnie e di scherno. È vero che ogni individuo gode del diritto alla libertà di
opinione e di espressione, incluso il diritto di ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni
mezzo, ma dovrebbe avere coscienza di come farne uso. Tale libertà ,infatti, spesso demolisce l’altro con
grande facilità perché con gli strumenti dell’odierna società dell’informazione chiunque, quindi non solo i
“giornali”, possono rendere pubbliche informazioni vere o non sugli individui. Ed ecco come il successo
dello stare sotto i riflettori può trasformarsi in una terribile caccia all’uomo. Come difendersi allora? In
ambito giuridico si ricorre al diritto all’oblio che permette di salvaguardare la nostra identità personale.
Esso può essere praticato attraverso la richiesta di rimozione delle informazioni personali che ci riguardano
dalla loro pubblica circolazione. È uno dei pochi baluardi contro l’invadenza del web e la sua capacità di
ricordare senza limiti temporali. Esso per questo si scontra con il diritto di cronaca. Come ricorda Francesco
Pizzetti, sono le stesse tensioni umane a generare i diritti che le tutelano. Da un lato l’uomo aspira
all’immortalità e, sapendo di non poterla avere, cerca di lasciare il più a lungo possibile memoria di sé,
dall’altro ogni persona umana ha anche il terrore che ogni atto negativo compiuto, nel corso della propria
esistenza, possa essere ricordato per sempre e per questo esige i mezzi per poterlo cancellare. Dunque il
diritto all’oblio storicamente coincide con la nascita del diritto alla privacy ed alla riservatezza, ovvero con il
diritto di essere lasciati in pace concepito da Warren e Brandeis nel 1890. L’Autorità garante italiana si è
occupata per la prima volta di diritto all’oblio nel 2004 e poi nel 2008 e nel 2010, nello specifico in relazione
alla pubblicazione online degli archivi storici dei giornali. Ad oggi tale settore ha un ruolo sempre più
significativo ed è in crescita. Aldilà di ogni fattore prettamente giuridico, ciò che conta è la
consapevolezza, che ogni individuo deve avere, del potere di questo mezzo che ha a disposizione per la
tutela della propria persona. Di sicuro l’uomo avrà sempre il desiderio di apparire, soprattutto in una
società come la nostra, ma in virtù dei pericoli della stessa, sempre notevole sarà il bisogno di un’arma che
lo tuteli al momento giusto. Dovremmo fare in modo che ci siano sempre più volti nascosti nell’ombra della
riservatezza e meno maschere sotto i riflettori del nostro teatro sociale.
Mediatore civile e commerciale presso DPL mediazioni.
Il lavoro che svolgo mi ha permesso di credere ancor di più nell’efficacia della mediazione come strumento ausiliario, non sostitutivo,della giustizia dei tribunali. L’attività svolta da noi mediatori è umana,prima ancora che legale, poiché dobbiamo comprendere a pieno bisogni, emozioni, esigenze e ragioni che si nascondono dietro le parti in lite,prima di poter arrivare ad una soluzione che ne permetta la pacificazione. La soddisfazione per un bravo mediatore è quella di essere riuscito ad appianare ogni forma di controversia, perché non ci interessa sapere chi ha torto o ragione,chi è colpevole o chi è innocente,la sola cosa che ci preme è metterci nella posizione di indagare il problema,di scoprirne la causa e di trovare un rimedio alla stessa. Il mediatore è un vero e proprio genitore sociale,la cui felicità dipende solo dalla serenità dei rapporti fra i propri figli.