La Corte di giustizia europea nel caso C-658/23 del 3 settembre 2024 ha affermato che le leggi nazionali possono imporre tentativi di mediazione prima o dopo i procedimenti legali.
La sentenza, che riguarda in particolare la Romania, rappresenta tuttavia un generale riconoscimento che la mediazione può svolgere un ruolo cruciale nella risoluzione efficace delle controversie, purchè non sia di ostacolo al successivo diritto di accesso al sistema giudiziario ordinario.
Il caso oggetto di decisione riguardava una questione di riscossione di un credito vantato in forza di un contratto di abbonamento telefonico. La legge nazionale imponeva ai ricorrenti, a pena di inammissibilità della domanda di citazione, di partecipare a una riunione informativa sulla mediazione prima della presentazione di tale domanda o dopo l’avvio del procedimento entro il termine fissato a tal fine dal giudice adito. La Corte costituzionale rumena ha ritenuto che l’articolo 2, commi 1 e 1, comma 2, della legge n. 192/2006 è in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione rumena, che sancisce il libero accesso alla giustizia, in quanto l’obbligo di partecipare a una siffatta udienza limiterebbe l’esercizio di tale libero accesso. In particolare, il giudice del rinvio precisa che, in tale decisione, la Corte costituzionale si è basata, sul preambolo della direttiva 2008/52 e sugli articoli 3 e 5 di quest’ultima e ha dichiarato che «[l]e disposizioni di tale direttiva riguardano unicamente la possibilità, e non l’obbligo delle parti, di seguire la procedura di mediazione, e quindi nulla di vincolante per la mediazione e, tanto meno alla procedura preliminare per informare sui vantaggi della mediazione”. Inoltre, con la Delibera n. 560 del 18 settembre 2018, la Corte costituzionale avrebbe statuito che, sebbene il legislatore nazionale avrebbe concordato con la Costituzione rumena le disposizioni dichiarate incostituzionali con la decisione n. 266/2014, le disposizioni giuridiche adottate successivamente a quest’ultima decisione, che stabiliscono l’obbligo del giudice di ordinare, in determinate controversie, il rinvio delle parti alla mediazione, limitano anch’esse il libero accesso delle parti alla giustizia e sono quindi contrarie all’articolo 21 della Costituzione rumena, in quanto stabilisce il carattere obbligatorio della mediazione in questi casi.
In tale contesto, detto giudice si interroga, in primo luogo, sulla fondatezza della soluzione adottata dalla Corte costituzionale in tali decisioni. A tal riguardo, essa rileva che, nella sentenza del 14 giugno 2017, Menini e Rampanelli (C-75/16, EU:C:2017:457), la Corte ha dichiarato che subordinare la ricevibilità di un ricorso giurisdizionale alla condizione che la controversia sia sottoposta a un procedimento di mediazione preliminare non è contrario al diritto dell’Unione, purché un siffatto requisito non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario.
In tale contesto, la Judecătoria 3 Sector Bucharest ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia, in particolare, la seguente questione pregiudiziale:”L’articolo 3, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva [2008/52], in combinato disposto con i considerando 8 e 13 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale, in taluni tipi di controversie, come nel procedimento principale, le parti sono tenute a partecipare alla riunione informativa sui vantaggi della mediazione, a pena di inammissibilità della citazione?”
Secondo la Corte di Giustizia UE l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/52 non osta, in linea di principio, a che uno Stato membro adotti una normativa in forza della quale il ricorso alla mediazione sia obbligatorio o soggetto a incentivi o sanzioni, purché tale normativa «non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario». Tuttavia, da tale disposizione non risulta che essa disciplini in alcun modo anche l’ipotesi in cui uno Stato membro non disponga di una siffatta legislazione.
L’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/52, in combinato disposto con il principio del primato del diritto dell’Unione, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che i giudici di uno Stato membro non possano disapplicare una decisione della Corte costituzionale di tale Stato membro che invalida una normativa nazionale sulla base della quale la ricevibilità di taluni ricorsi, che può rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva, è subordinata al rispetto, da parte del ricorrente, dell’obbligo di partecipare a una riunione informativa sui vantaggi della mediazione, dato che una siffatta decisione non rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione e non può quindi essere contraria a quest’ultima.
In sintesi la legislazione nazionale può imporre un tentativo di mediazione, a condizione che i costi, le sanzioni e le tempistiche siano ragionevoli e le parti siano libere di aderire al processo di mediazione, senza che venga in alcun modo precluso l’accesso al procedimento giudiziario come stabilito dall’articolo 1 della direttiva 2008/52.