Il mio lavoro di counselor consiste fondamentalmente nell’aiutare le persone a realizzare i loro obiettivi di benessere. Beh sembra semplice: chiedi a qualcuno cosa desidera, fai una ricognizione delle risorse necessarie per realizzare l’obiettivo e via, il lavoro è fatto! Già, peccato che appena si inizia a definire i contorni di ciò che la persona vuole e soprattutto si comincia a ragionare sugli impedimenti per cui quel desiderio è ancora tale e non realtà, spesso, emerge che quell’obiettivo altro non è che l’espressione di una sola delle molteplici istanze che abitano la persona su quel dato argomento. Lo disse bene Walt Whitman con la celebre frase sono vasto, contengo moltitudini che si riferisce all’umana natura la cui consapevolezzaè spesso tutt’altro che trasparente e lineare. E quindi arriviamo alla complessità.
La mia formazione in mediazione dei conflitti mi aiuta a cogliere ciò accade in queste situazioni. Quando due persone sono in conflitto ognuna spinge in direzione diversa dall’altra e questo porta la loro relazione ad un fermo, un blocco, il rapporto è in sospeso, non prende alcuna direzione poiché le loro forze si annullano. Similmente, quando una persona ha dentro di sé bisogni psicologici diversi che entrano in contrasto, questa si blocca, si ferma, non è in grado di prendere alcuna direzione/decisione perché le sue energie sono interamente ingaggiate nella gestione del conflitto interiore. Ciò che accade è che la mente da’ credito, fa emergere, porta alla consapevolezza solo i bisogni che sembrano più “sensati”, più razionali e anche più “gestibili”.
Facciamo un esempio: se una persona che ha un lavoro frustrante e mal pagato matura il desiderio di
cambiare impiego, è perché dentro di sé ha un bisogno di autorealizzazione che reclama appagamento. Nel caso non riuscisse a cambiare la sua situazione lavorativa, sarebbe utile verificare che quella persona non sia portatrice anche di altri bisogni, oltre a quello di realizzarsi in un lavoro piacevole e remunerativo.
Appena sotto la superficie della consapevolezza potrebbero annidarsi altri bisogni che però la persona
tende a non vedere e legittimare: potrebbe esserci, per esempio, un bisogno di sicurezza che si esprime con la paura all’idea di lasciare il vecchio lavoro e affrontarne uno nuovo; e magari, anche un bisogno di stima frustrato da un senso di inadeguatezza circa le proprie capacità e competenze. Si tratta di bisogni che, seppur inconsapevoli, agiscono “tirando” ora da una parte, ora dall’altra lasciando la persona nella frustrante sospensione poc’anzi accennata.
A volte la mente umana occulta alcuni bisogni della persona poiché le ricorderebbero la sua fragilità e
fallibilità… e questo fa paura. Ma è necessario farci i conti poiché è impossibile zittire parti della persona che, comunque, continueranno a spingere nella loro direzione, ma nell’ombra, non viste, fuori dalla consapevolezza e quindi nell’impossibilità di gestirle.
Compito del counselor è agevolare l’emersione di tutte le istanze interne della persona che, ognuna a modo suo, hanno necessità di essere ascoltate e accolte. Occorrerà rispondere ad esse legittimandole prendendo decisioni che le comprendano. Questo perché ogni istanza interiore è frutto di idee, emozioni, esperienze e necessità che sono parti integranti dell’individuo e quindi importanti.
Tornando all’esempio del cambiamento di lavoro occorrerà accogliere la paura del cambiamento e anche quella di non sentirsi adeguati al nuovo impiego; bisognerà lavorare su questi aspetti in modo concreto affinché la mente razionale possa comporre il puzzle del nuovo scenario voluto, realizzando un’immagine chiara e coerente in tutte le sue parti. Ciò si realizza esplorando tutti gli aspetti da cui concretamente quelle paure originano e attuando strategie mirate alla loro neutralizzazione o contenimento.
Questo è il modo di procedere del counseling (e di altre professioni della relazione di aiuto, naturalmente) nelle situazioni di blocco. E non si deve pensare che possa essere utile solo a persone poco avvezze all’introspezione, anzi, chiunque, quando si trova ad affrontare una situazione difficile può avere necessità
di uno spazio di riflessione e confronto nel quale esplorare il proprio spazio interiore per ricavarne
importanti informazioni su ciò che desidera davvero per realizzarlo.
Mediatrice familiare, civile e commerciale, counselor, conduttrice gruppi di parola, formatrice,
laureata in Scienze per la pace: cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti presso
l’Università di Pisa. Da oltre dieci anni accompagno individui, coppie e famiglie in percorsi di
counseling e mediazione familiare con lo scopo di aiutarli ad affrontare e risolvere difficoltà
personali, relazionali o conflittualità.
Per dieci anni ho collaborato con un Centro Antiviolenza sostenendo donne vittime di
maltrattamento intrafamiliare e stalking nell’uscita dalla violenza. In questo ambito sono stata
docente in diversi contesti formativi rivolti ad operatori socio-sanitari e Forze dell’Ordine.
Sono docente in master per mediatori familiari e mi occupo di formazione in ambito aziendale.
Dal 2014 sono responsabile per la Lombardia del progetto Cominciamo da Piccoli di Fondazione
Paracelso che prevede l’affiancamento di una mediatrice alla famiglia fin dal momento della
diagnosi per sostenere i genitori di piccoli con emofilia aiutandoli ad affrontare, praticamente ed
emotivamente, tutti i bisogni che possono insorgere.
Dal 2018 collaboro con A.C.E. Associazione Coagulopatici ed Emofilici nell’ambito del progetto In
Ascolto a favore dei pazienti adolescenti, adulti e anziani dei Centro Emofilia del Policlinico di
Milano e dell’Humanitas di Rozzano (Mi) e dei loro familiari mettendo a loro disposizione uno
spazio di counseling e mediazione familiare.
Profondamente convinta che, come osserva Fritjof Capra, l’unica vera logica che governa
l’universo è quella cooperativa nella quale più io sto bene, più tu stai bene.
Contatti: e-mail sonja.riva@yahoo.it; telefono 335-8293773