La diffamazione a mezzo stampa è l’unica materia penale prevista dall’art. 5 del Dlgs 28/10.
Il legislatore ha inteso inserirla nel novero di materie per le quali è previsto l’esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità dell’eventuale successiva domanda giudiziale, fatta eccezione per i casi in cui l’azione civile sia stata esercitata nel processo penale.
È opportuno ricordare che il reato di diffamazione è disciplinato dall’art. 595 c.p. che definisce la fattispecie come offesa dell’altrui reputazione da parte di chiunque comunichi con più persone, punendo il reo con la reclusione fino ad un anno o la multa fino a milletrentadue euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Dunque il legislatore ha attribuito alla diffamazione a mezzo stampa un livello di maggior gravità.
La ratio è da ricercarsi nella capacità diffusiva del mezzo di comunicazione. La stampa (in senso lato) ha infatti di regola un’ampia diffusione e, in aggiunta a ciò, l’autorevolezza o il prestigio della fonte mediatica potrebbe incrementare la credibilità della dichiarazione diffamatoria. Ne deriva che ad aumentare è anche la gravità delle conseguenze dannose in caso di dichiarazioni offensive.
Proprio per questo, la mediazione, offre un’importante opportunità alle parti.
Non solo infatti un accordo in mediazione consente alla parte danneggiata di trovare ristoro al danno subìto, ma consente altresì, alla parte attiva del reato, di mettersi al riparo dalle importanti conseguenze di una eventuale condanna penale. Il tutto entro un tempo certo e con minori costi.