L’importanza della c.d. Riforma Cartabia, con il suo focus sui meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie, emerge chiaramente se osserviamo come la società affronta i conflitti. È proprio da questa riflessione che vorrei partire per sottolineare il valore delle norme che ne sono scaturite e il loro potenziale impatto non solo nel contesto giuridico, ma soprattutto a livello sociale e umano.
Quando pensiamo ai conflitti, possiamo identificare quattro metodi principali utilizzati per affrontarli, ciascuno dei quali può essere osservato in relazione a due dimensioni: una riguarda la responsabilità nella risoluzione del conflitto e l’altra l’impatto che l’approccio adottato ha sulla relazione tra le parti.
Il primo metodo, purtroppo molto diffuso, è quello della violenza. Si tratta di una risposta antica, primordiale e istintiva, che purtroppo si manifesta ancora oggi in varie forme, dalle violenze interpersonali fisiche e psicologiche alla guerra. Nell’utilizzo di questo metodo, uno dei due litiganti si appropria della responsabilità di risolvere il conflitto arrogandosene il diritto: semplicemente il più forte, o il più aggressivo, prevale e impone la sua volontà, le sue ragioni e la sua soluzione sull’altro. Questo metodo elimina, spazza via il conflitto e insieme anche la relazione tra le parti, che ne rimane distrutta. Questa modalità lascia dietro di sé solo macerie relazionali e sociali.
Qui entra in gioco la distinzione fondamentale che come mediatori abbiamo molto chiara: guerra e conflitto non sono sinonimi, come spesso si sente utilizzare dai media. Il conflitto, in quanto contrapposizione di opinioni o interessi, se gestito correttamente, può essere un’occasione di crescita, mentre la guerra – in tutte le sue forme – annulla tale possibilità. Il conflitto è inevitabile, fa parte della vita; la violenza e la guerra sono scelte.
Il secondo metodo è un’evoluzione culturale, ha dato vita al nostro sistema giuridico ed è quello che affida la risoluzione del conflitto a un terzo. In questo scenario le parti, più o meno per scelta, delegano la responsabilità di cercare una soluzione al conflitto a un’autorità come un giudice, un tribunale. In questo caso la relazione fra le persone coinvolte vive una sospensione poiché non sono loro in prima persona a cercare una soluzione. Il tribunale agisce come arbitro risolvendo il conflitto, ma la decisione presa non sempre favorisce una ricostruzione del rapporto tra le parti.
La riforma Cartabia incoraggia l’uso di metodi alternativi come la mediazione, il terzo approccio nella gestione dei conflitti. La mediazione ha una qualità trasformativa: le parti mantengono sia il controllo del processo di risoluzione, sia la responsabilità di trovare la loro soluzione al conflitto con l’aiuto di un mediatore che facilita il dialogo. Questo metodo, quando applicabile, ha il potenziale di rafforzare le relazioni poiché si basa sulla comunicazione e sulla comprensione reciproca. Non è il mediatore a fornire soluzioni, ma sono le parti stesse a costruirle, trovando un terreno comune. La Riforma Cartabia e i Decreti Interministeriali che ne sono scaturiti riconoscono l’importanza di questo approccio, inserendolo come opzione primaria nei contesti legali, contribuendo così a cambiare la cultura della giustizia.
Infine, il quarto metodo, è la cooperazione diretta tra le parti, senza l’intervento di terzi. Anche questo approccio esiste da quando esiste l’uomo poiché radicato nella sua natura. Qui, la responsabilità di risolvere il conflitto è completamente nelle mani dei protagonisti che lo affrontano in modo collaborativo, rinforzando la relazione nel processo. È una modalità che richiama la natura intrinseca dell’essere umano, capace di costruire legami più solidi attraverso l’esperienza condivisa della risoluzione dei problemi.
Personalmente sogno un futuro, diverso dalla realtà attuale, in cui l’umanità riuscirà a relegare la violenza e la guerra a una memoria del passato, e dove gli altri tre metodi diventeranno le uniche opzioni considerate percorribili. Per raggiungere questo obiettivo, però, occorrono ancora molti cambiamenti che coinvolgono la cultura, l’educazione e, non meno importante, le leggi.
In quest’ottica, celebriamo l’entrata in vigore della riforma Cartabia, che rappresenta un passo importante verso una giustizia orientata al dialogo nel quale le persone possano sempre più integrare nella loro vita una modalità di gestione del conflitto di tipo cooperativo.
La mediazione dei conflitti – in tutte le sue declinazioni: familiare, civile e commerciale, scolastica, penale, ecc… – non è solo uno strumento, ma veicolo di una trasformazione culturale che potrà, con il tempo, favorire una società più pacifica e coesa.